(pubblicato per la prima volta il 15-07-1987)
I ricordi di Ikki proseguono. Ikki ora può finalmente vestire l'armatura di Phoenix ma, prima di farlo, deve entrare nel territorio dei Sacri Guerrieri Neri ed impossessarsene. Senza nessun problema il giovane si sbarazza di Black Swan, Black Andromeda, Black Dragon e Black Pegasus; l'odio dentro di lui ormai è implacabile, ed è rivolto a Mitsumasa Kido, padre di tutti i 100 orfani spediti in giro per il mondo, e per tutto ciò che quell'uomo ha creato. E' il moribondo Guilty a rivelarglielo, annunciando anche la sua avvenuta morte, e l'impossibilità per l'allievo di qualsiasi vendetta. Ikki sconfigge anche Jango, il signore della Death Queen Island, ma nulla può contro Shaka di Virgo, Sacro Guerriero d'Oro di passaggio sulla Death Queen Island per punire la setta dei Sacri Guerrieri Neri. Risparmiato da Shaka, Ikki diviene così il padrone incontrastato dell'isola.
Ikki si scuote dai ricordi appena in tempo per evitare l'attacco mortale di Hyoga e lo colpisce nuovamente al cuore, ma il suo pugno si ferma su una Croce del Nord, un ricordo della madre di Hyoga che già nel primo duello lo aveva salvato da morte certa. Fallito il colpo, Ikki scaglia il suo colpo più potente, lo Hôô Yoku Ten-sho, su tutti e quattro i suoi avversari, dei quali soltanto Seiya resta illeso. L'armatura di Sagittarius, infatti, si è misteriosamente riunita di fronte a Pegasus difendendolo da ogni attacco, ed il Sacro Guerriero approfitta della sorpresa di Ikki per contrattaccare con efficacia. Prima che le cose diventino irreparabili, Seiya ricorda ad Ikki la sua nobiltà di un tempo e le volte in cui aveva difeso il fratello in difficoltà, cercando di non farlo partire per l'Isola di Andromeda in cui si sarebbe poi addestrato. In quell'occasione Ikki sopravvisse ad una fortissima scossa elettrica e fu duramente punito da Tatsumi Tokumaru, maggiordomo di Saori, per insubordinazione. Dal momento che Ikki non vuole sentir ragioni, comunque, Seiya si vede costretto a battersi e, sorretto dai Cosmi uniti di Hyoga, Shiryu e Shun, riesce alfine a vincere. A quel punto Ikki si arrende e rivela a Seiya l'inquietante verità: lui ed Ikki sono fratelli.
Mentre Ikki racconta a Seiya la vera storia riguardo ai 100 orfani allevati da Mitsumasa Kido, un nemico misterioso si avvicina velocemente al monte Fuji, e soltanto Mu e Kiki avvertono la sua minacciosa presenza. Il nemico, che si rivela essere il Sacro Guerriero d'Argento Misty di Lizard, fa crollare il monte Fuji sopra i Sacri Guerrieri di Bronzo, ma questi vengono tratti in salvo da Mu e Kiki che, grazie ad una galleria segreta sotto la montagna, portano loro ed i Sacri Guerrieri Neri fino all'Isola di Enoshima. Marin di Eagle, Sacro Guerriero d'Argento in missione insieme a Misty, si accorge della scia lasciata da quattro comete luminose ed avverte Misty della fuga dei Sacri Guerrieri di Bronzo. I due Sacri Guerrieri d'Argento raggiungono rapidamente Enoshima e, diffidato Mu dall'ostacolarli nuovamente, ingaggiano battaglia con Seiya che, nonostante l'impegno, non riesce a tenere testa a Misty. Per questo motivo Marin, per salvare la vita al suo allievo, interviene colpendolo a morte, o almeno così sembra. Contemporaneamente giungono Moses di Cetus, Asterion di Canis Venatici e Babel di Centaurus, altri tre Sacri Guerrieri d'Argento, recanti i corpi esanimi di Shiryu, Shun e Hyoga.
I Sacri Guerrieri di Bronzo sono tutti morti in nome di Athena, ma Misty ha un dubbio: che Seiya non sia veramente morto? Il Sacro Guerriero di Lizard si attarda, rimandando gli altri Sacri Guerrieri d'Argento al Santuario, e verifica effettivamente che Seiya è in realtà ancora vivo, e che quindi Marin ha tradito; l'illusione creata da Mu non ha funzionato. Misty ricomincia ad attaccare il Sacro Guerriero di Pegasus che, dopo essere giunto in fin di vita, riesce a reagire, nonostante la forza superiore dell'avversario. Misty, infatti, vuole combattere senza sporcarsi o ferirsi, ed inoltre è troppo sicuro di sé; sfruttando la presunzione del suo nemico Seiya lo sconfigge, dimostrando che in battaglia bisogna sempre rischiare il tutto per tutto.